a cura di Marco Amore
Simbolo di orgoglio e di purezza, il giglio apre alla possibilità di un’interpretazione emblematica capace di amplificare il suo linguaggio cromatico: da un lato, manifesta la volontà dell’artista di rendere omaggio a un frammento di storia unitaria, dialogando con la tradizione e l’identità culturale di uno spazio che è stato luogo di reclusione di patrioti illustri – dal conte Michele Pironti ( 14 gennaio 1814 – 14 ottobre 1885) al celebre Carlo Poerio (13 ottobre 1803 – 27 aprile 1867) – dall’altro, in conformità alla sua funzione rituale e celebrativa, si fa metafora delle qualità che hanno scandito la “lotta” di tanti giovani rivoluzionari: giglio coronato d’oro – associato a fermezza e perseveranza; giglio coronato di blu – saldezza negli intenti; giglio nero su corona bianca o giglio bianco su corona nera – l’eterna lotta tra il “bene” e il “male”; in particolar modo nelle interpretazioni revisionistiche, di cui l’artista denuncia l’impietoso assolutismo.
Proprio attraverso la rievocazione di un passato illustre che serve a progettare, in maniera più consapevole, i comuni passi verso il futuro, Vittorio D’Onofrio cerca un senso di connessione con la Torre di Montesarchio e il paesaggio rurale che la circonda, per cui nutre un amore viscerale superato solo dalla sua passione per i colori primari, definiti dall’artista “verità assoluta della realtà.” Alla maniera di Bonami, è infatti sua convinzione che l’arte, a prescindere dal proprio valore di mercato, debba smetterla di contorcersi in inutili diatribe metanarrative e tornare a raccontare la società, articolando immagini che abbiano un senso escatologico e narratologico, più che speculativo o informale. Convinzione che lo spinge a inserire nei suoi lavori handmade, realizzati prevalentemente con elementi naturali e argilla, oggetti che rientrano nella percezione sensoriale della sua quotidianità: piante, fiori, radici, testimoni di quel mondo ancestrale da cui Vittorio proviene – siccome la realtà è di per sé complessa e multi-prospettica, per cui non c’è bisogno di realizzare una copia ideale di quel mondo, quando può essere <<derubato>> dei suoi elementi cromatici e formali. Un atteggiamento che denuncia il suo background fotografico anche in pittura, ricusando la teoria dell’arte-mimesi per un modello artistico che risente dell’influenze post-concettuali, particolarmente evidenti nell’unica scultura in mostra, Pensiero ricorrente. Qui la forma di un viso trasfigurato, poggiata in verticale su una base asettica, viene trafitta alla tempia sinistra dai rebbi acuminati di una forchetta. Un’immagine incredibilmente potente ed evocativa: il pensiero che diviene disturbo, ossessione; così come doveva accadere a quei giovani, rinchiusi in celle anguste con l’unica consolazione di un panorama mozzafiato e della loro idea di libertà.
Luogo: MANSC Museo Archeologico Nazionale Sannio Caudino Torre Carceraria – Montesarchio (BN)
Enti: MANSC Museo Archeologico Nazionale Sannio Caudino – Provincia di Benevento -Comune di Montesarchio – Parco Regionale del Taburno -Camposauro
Anno: 2023